Proposizione completiva latina

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Nella grammatica latina, vengono definite proposizioni completive (o sostantive o complementari dirette) le subordinate che completano quanto viene espresso dalla proposizione reggente. Esse svolgono la funzione di soggetto o di complemento oggetto rispetto al predicato della reggente.

Tra le proposizioni completive più usate ci sono la proposizione infinitiva latina e la proposizione interrogativa latina (interrogativa indiretta). Vari gruppi di verbi reggono poi una proposizione completiva introdotta da diverse congiunzioni (verba dicendi e declarandi, affectuum, timendi, ecc.).[1].

Le proposizioni completive, che sono una grande famiglia, possono essere[1]:

  • completive che esprimono una volontà, che sia desiderio, timore, comando o esortazione, introdotte da "ut" o da "ne" nella forma negativa. Presentano il verbo al modo congiuntivo.(COMPLETIVA VOLITIVA).
  • completive che esprimono una constatazione, introdotte da "ut", che contengono il "non" nella forma negativa. Presentano il verbo al modo congiuntivo.(COMPLETIVA DICHIARATIVA)
  • completive che esprimono una funzione soggettiva, oggettiva o epesegetica. (INFINITIVA)

Proposizione dichiarativa

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La proposizione dichiarativa determina, chiarisce, spiega quanto genericamente è stato espresso da un termine della reggente. Essa è introdotta dal pronome-congiunzione quod ed il verbo è posto all'indicativo.

Si usa il quod dichiarativo:

  • per spiegare un pronome neutro (= hoc, illud, id), un avverbio (= sic, ita, ex eo, inde, ecc.) o un sostantivo (come laus, malum, vitium, iniuria ecc.) contenuti nella proposizione reggente.

Esempio. Illud est admiratione dignum, quod Regulus captivos retinendos censuit [Questo è degno di ammirazione, che (= il fatto che) Regolo fu del parere che si dovessero trattenere i prigionieri] (Cicerone).

  • dopo i verbi di avvenimento (= accĭdit, evĕnit, fit, ecc.) accompagnati da un avverbio, come bene, male, opportune, commode, ecc.; dopo le espressioni bene (recte, prudenter, male) facio quod (= faccio bene, rettamente a...); dopo alcuni aggettivi neutri, come gratum est quod, iucundum est quod, molestum est quod (= mi è gradito, piacevole....il fatto che) oppure: gratum, molestum facio quod (= faccio cosa gradita, sgradita a...).

Esempio. Fecisti mihi pergratum, quod librum ad me misisti [Mi hai fatto cosa molto gradita a mandarmi il libro] (Cicerone).

  • dopo le espressioni accedit quod (= si aggiunge il fatto che), huc accedit quod (= a ciò si aggiunge che), adde quod (= aggiungi il fatto che) mitto (omitto, praetereo, praetermitto, ecc.) quod (= tralascio, lascio da parte il fatto che).

Esempio. Praetereo quod eam sibi domum delēgit [Tralascio il fatto che ella si scelse quella casa] (Cicerone)

  • dopo i verba affectuum e dopo i verbi di lode, biasimo, accusa accompagnati da un pronome dimostrativo neutro (= dichiarativa causale).

Esempio. Illud moleste tuli, quod triumphum esse tibi ereptum videbam [Questo mi afflisse, il fatto di vederti tolto dal trionfo] (Cicerone)[2]

Verba dicendi e declarandi

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I verba dicendi e declarandi si costruiscono:

  • con l'accusativo e l'infinito, quando esprimono un dato di fatto, cioè quando indicano che una cosa è o non è;

Esempio. Docui per litteras id fieri non posse [Per lettera ti ho informato che non si potrà fare ciò] (Cicerone)

  • con ut o ne quando introducono una proposizione volitiva, cioè una proposizione in cui sia implicito il concetto di "ordine, volontà, desiderio" che una cosa venga o no compiuta. Sono verba dicendi: adfirmo, aio, dico (= dico, affermo), nego (= dico che non), confiteor (= confesso), iuro (= giuro), memoro, commemoro (= ricordo), promitto, polliceor, spondeo (= prometto), nuntio (= annuncio), respondeo (= rispondo), scribo (= scrivo), doceo o certiorem facio (= informo), narro (= narro), minor, minitor (= minaccio), ecc.[3]

Esempio. Pythia respondit, ut moenibus ligneis se munirent [La Pizia rispose di difendersi con mura di legno] (Nepote)

Verba voluntatis

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I verba voluntatis esprimono volere, comando, divieto. I verbi volo, nolo, malo, cupio e studeo si costruiscono:

  • con soggetto unico, con l'infinito semplice o con l'infinito e il nominativo;

Esempio. Abire nolumus [Non intendiamo andarcene] (Plauto)

  • con soggetto diverso (da quello della dipendente infinitiva), con l'accusativo e l'infinito; però con le forme desiderative velim, nolim, ecc; vellem, nollem, ecc. si usa il congiuntivo senza ut.

Esempio. Volo te hoc scire. [Voglio che tu sappia questo] (Cicerone)

  • i verbi iubeo, veto, prohibeo, sino e patior si costruiscono con l'accusativo e l'infinito.

Esempi. Legatos Caesar discedĕre vetuĕrat [Cesare aveva vietato agli ambasciatori di allontanarsi] (Cesare)

Dictator Gallos summovēri iubet.[Il dittatore fa allontanare i Galli = ordina che i Galli siano allontanati] (Livio)

I verbi di percezione

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I verbi di percezione quali vedere e udire si costruiscono:

  • con l'accusativo e l'infinito, quando la percezione è indiretta, cioè quando si vuole esprimere la constatazione che logicamente si deduce da un fatto o visto o udito o sentito dire.

Esempio. Non dissentire ceteros ab hoc iudicio video [Vedo (= constato) che gli altri non dissentono da questo giudizio] (Tacito)

  • col participio presente quando si tratta di una percezione diretta.

Esempio. Catonem vidi in bibliotheca sedentem [Vidi Catone seduto in biblioteca] (Cicerone)

I verbi di deliberare

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I verbi di deliberare (come statuo, constituo, decerno = stabilisco) si costruiscono così:

  • con soggetto unico, vogliono l'infinito semplice;

Esempio. Caesar bellum cum Germanis gerĕre constituit [Cesare decise di fare guerra contro i Germani] (Cesare)

  • con soggetto diverso (da quello della dipendente), vogliono ut (o ne) e il congiuntivo.

Esempio. Galli constituunt ut ii, qui valetudine aut aetate inutiles sint bello, oppido excedant [I Galli stabiliscono che debbano lasciare la città quelli che per condizioni di salute o per età sono inutili alla guerra] (Cesare)

  • con inclusa l'idea di necessità (= dovere), si usa l'accusativo e l'infinito con il verbo al gerundivo.

Esempio. Caesar non exspectandum sibi statuit [Cesare decise di non (dover) attendere] (Cesare).

I verba affectuum

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I verba affectuum, cioè quelli che esprimono un sentimento di gioia, dolore, meraviglia. Essi sono: gaudeo (= godo), laetor (= sono felice, mi rallegro), aegre, moleste, indigne fero (= mal sopporto, mi dispiace), indignor (= mi sdegno), queror, conquĕror (= mi lagno), miror, admiror (= mi stupisco), glorior (= mi vanto), ecc. Questi verbi si costruiscono:

  • con l'accusativo e l'infinito, quando si vuole indicare con evidenza la propria soddisfazione, il proprio dolore, ecc.

Esempio. Suum cuique honorem et gradum redditum (esse) gaudeo [Sono felice che ad ognuno sia stato restituito il proprio onore e grado] (Cicerone)

  • con quod e l'indicativo o il congiuntivo.[4]

Esempio. Molestissime fero, quod te ubi visurus sim nescio [Mi duole assai di non sapere dove potrò vederti] (Cicerone).

I verba timendi

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I verbi che indicano timore (timeo, vereor, metuo, timor est, metus est, periculum est, ecc.) si costruiscono con ut (o ne) e i tempi del congiuntivo, secondo le norme della consecutio temporum.[5][6]

Se il verbo di timore è affermativo:

  • temo che o di: timeo ne, quando si teme che avvenga una cosa che non si desidera;

Esempio. Senatores timebant ne plebs pacem acciperet [I senatori temevano che la plebe accettasse la pace] (Livio)

  • temo che non o di non: timeo ut ( o ne non), quando si teme che non avvenga una cosa che si desidera

Esempio. Vereor, ut Dolabella nobis prodesse possit [Temo che Dolabella non possa esserci utile] (Cicerone)

Se il verbo di timore è negativo:

  • non temo che: non timeo ne (= sono sicuro che non);

Esempio. Non vereor, ne tibi displiceat [Non temo che ti dispiaccia] (Cicerone)

  • non temo che non: non timeo ne....non (= sono sicuro che)

Esempio. Non vereor, ne hoc officium iudici non probem [Non temo di non rendere gradito questo mio incarico al giudice] (Cicerone)

Proposizione modale

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La proposizione modale indica la "maniera" in cui avviene ciò che è espresso nella reggente. In latino è introdotta dalle congiunzioni ut, velut, sicut, quemadmŏdum (= come, nel modo che), utcumque (= comunque), ecc, seguite dall'indicativo; il tempo non differisce da quello italiano.[7]

Esempio. Haec, utcumque erunt, haud in magno equidem ponam discrimine (Livio) = Queste cose, comunque saranno, non le terrò in gran conto. Si me, sicut soles, amas, suscipe me totum (Cicerone) = se mi ami, come sei solito, prendimi tutto per te.

Proposizione limitativa

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La proposizione limitativa serve a porre una "restrizione" al concetto espresso nella reggente. In latino si esprime con l'indicativo introdotto da ut, con verbo espresso o sottinteso, (= per quanto è compatibile, per quanto è possibile, per quanto è concepibile, per quanto è consentito); quoad e quatenus (per quanto per quello che), prout (secondo che, conforme a). La limitativa è anche introdotta anche da quantum (= per quanto, per quello che), come nelle espressioni seguenti: quantum scio (per quanto ne so); quantum intellego (per quello che intendo); quantum possum (per quanto io posso); quantum in me est (=per quanto sta in me), etc. La congiunzione quod è usata in espressioni quali: quod ad me attinet (per quanto mi riguarda); quod facĕre possum (per quanto posso fare).[8]

Esempi.

D. Brutus erat, ut illis temporibus, eruditus (Cicerone) = D. Bruto, per quei tempi, era un erudito. Quoad potero, tuam famam et dignitatem tuebor (Cicerone) = Per quanto mi sarà possibile, difenderò la tua fama e la tua dignità. Tuas litteras, prout res postulat, exspecto (Cicerone) = Attendo tue lettere, secondo che il bisogno richiede.

  1. ^ a b Proposizioni completive
  2. ^ Abbastanza spesso si incontra il quod all'inizio di un periodo o di una proposizione per passare da un argomento ad un altro. In questo caso equivale alle espressioni italiane " quanto al fatto che, riguardo a ciò che". Esempio: Quod me Agamennonem aemulari putas, fallĕris [In quanto al fatto di credere tu che io voglia emulare Agamennone, ti inganni] (Nepote).
  3. ^ I verbi moneo e admoneo nel senso di "avvertire, rammentare" reggono l'accusativo e l'infinito, nel senso di "esortare" ut (o ne) e il congiuntivo. Suadeo e persuadeo, nel senso di "convincere" reggono l'accusativo e l'infinito, nel senso di "consigliare, persuadere a...." si costruiscono con ut e il congiuntivo. Censeo, nel senso di "pensare, ritenere", si costruisce con l'accusativo e l'infinito, mentre nel senso di "proporre, decretare" vuole ut (o ne) e il congiuntivo. I verbi di sperare (spero, despero, mihi spes est, ecc.), confidare (fido, confido), giurare (iuro, adĭgo: faccio giurare ecc.) vogliono l'infinito futuro se denotano un'azione il cui compimento avverrà in seguito, anche se in italiano c'è l'infinito presente; l'infinito presente o perfetto quando si riferiscono ad azione presente o passata. I verbi che significano "prometto" (promitto, polliceor, spondeo, despondeo, ecc.) o "minaccio" (minor, minitor) vogliono il verbo della dipendente all'infinito futuro.
  4. ^ Si usa l'indicativo quando la causa è reale, in quanto esprime il pensiero di chi parla o scrive; si usa invece il congiuntivo, quando il motivo addotto esprime un pensiero altrui.
  5. ^ Timeo e vereor costruiti con l'infinito, hanno il significato di "esito a ; non oso". Esempio. Cur timet flavum Tiberim tangĕre? [Perché non osa toccare il biondo Tevere?] (Orazio)
  6. ^ Anxius esse (= essere ansioso di) si costruisce con ne e il congiuntivo.
  7. ^ Italo Bartoli, Sintassi del verbo per la V ginnasio, pag. 325, SEI, Torino, 1975.
  8. ^ Italo Bartoli, op.cit, pagg. 325-326.
  • Italo Bartoli, Sintassi del verbo per la quinta ginnasio, SEI, Torino, 1975.

Voci correlate

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